Tales of Zestiria - Recensione

PC PS3 PS4

Quindicesimo episodio e ultimo a essere approdato sul mercato mondiale, Tales of Zestiria fa finalmente capolino anche sulle piattaforme di gioco europee. Oltre a rappresentare il battesimo della saga J-RPG di Bandai Namco su PS4, pur trattandosi di un mero porting della versione PS3, l’ultima fatica di Hideo Baba e soci segna anche l’inizio di quella che dovrebbe essere la prima di una sequela di pubblicazioni su Steam. Che i giapponesi si fossero dimostrati sempre più interessati ai numeri mossi dal gigante di Valve era già nell’aria da diverso tempo e confermato anche dall’arrivo di grandi nomi del videoludo ad occhi a mandorla, come il portfolio di Square Enix, Capcom e Konami. Eppure, in questo clima di vibrante novità, questa ennesima iterazione manga style, che festeggia il ventennale del marchio, riporta chiunque ci si avvicini ai tempi che furono. Il ritorno alle atmosfere medievaleggianti abbandonate in Tales of Xillia e sequel, portano con la mente ai primi vagiti del J-RPG, dapprima su SNES e poi su piattaforme Sony.

UN MESSIA PER AMICO

Sorey, questo è il nome del personaggio principale, è un giovane che funge un po’ da prototipo dell’eroe medio dei Tales Of. Dotato di un cuore purissimo e di un’ingenuità incredibile, è stato cresciuto per anni da degli esseri sovrannaturali chiamati Serafini, protagonisti di leggende e invisibili agli occhi dell’umano medio. Ma ovviamente il protagonista di questa storia non è un uomo qualsiasi, bensì il Redentore, una figura dai tratti mistici che gli antichi scritti raccontano essere indispensabile per l’equilibrio del mondo. La missione di Sorey e dei compagni serafini (distinti per elemento e colore, come da tradizione super sentai) si dimostra fin troppo presto essere quella di salvare il creato da una minaccia che si erge ben più minacciosa di quella imminente guerra di cui tutti parlano, e che naturalmente si cela direttamente all’interno della natura umana. Seguendo uno schema piuttosto stabile all’interno della costruzione della linee narrative che da vent’anni caratterizzano Tales of, Zestiria arranca in situazioni che sanno fin troppo spesso di già visto senza rendere quel senso di gravità e di epicità che ci si aspetterebbe di vivere in un viaggio che è, a tutti gli effetti, filtrato da un’estetica giapponese, ma che ricorda parecchio i racconti biblici.

Tales of non ha mai brillato per originalità o per intrecci particolarmente elaborati

Il vero problema si rivela tuttavia essere la superficialità con cui molti passaggi vengono trattati. Diciamocelo: Tales of non ha mai brillato per originalità o per intrecci particolarmente elaborati. Il fascino ventennale della produzione Bandai Namco è sempre stato legato al carisma e alla caratterizzazione dei suoi protagonisti, ovviamente sempre interpretati in madre patria da doppiatori famosi per catalizzare l’interesse del pubblico nipponico. Ammetto che ultimamente ero rimasto sorpreso dalla dimostrazione di notevole sensibilità in fase di scrittura, denotata in alcuni frangenti degli ultimi capitoli; cose insignificanti, dettagli quasi sempre marginali quando si guardava alla storia nel suo insieme, ma che personalmente ho apprezzato al punto di considerare il rapporto fra i due protagonisti di Tales of Xillia uno dei migliori mai visti in un J-RPG moderno, genere che da una buona decina di anni sembra aver perso tutto il suo smalto.
Tales of Zestiria rimane invece un’iterazione piuttosto blanda dal punto di vista narrativo. Questo non significa che la trama risulti spiacevole, tutt’altro, ma l’eccessiva superficialità con cui sono gestiti vari passaggi e la banalità con cui altrettanti si risolvono a tarallucci e vino non me lo fanno di certo annoverare fra i miei capitoli preferiti. Di contro, i protagonisti sono tutti squisiti, se non consideriamo Rose, un’insopportabile e irrealistica Mary Sue che sembra quasi infilata a forza all’interno della storia. Convincenti sono anche le skits che costellano l’avventura, ovvero le scenette secondarie, marchio di fabbrica della serie, che raccontano i rapporti fra gli eroi e svelano dettagli succosi sul loro background. Ed è un peccato vedere un così buon cast sprecato su un soggetto così poco interessante e coraggioso, ma sono altrettanto sicuro che non mancheranno comparsate, cameo e cross over futuri in cui i volti principali potranno fare ancora parlare di sé.
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FU-SIO-NE!

Rispetto al passato il gameplay vede una rinnovata attenzione verso l’esplorazione. Le aree connettive di Tales of Xillia che inframezzavano i viaggi da una città all’altra lasciano ora spazio ad ambienti molto più vasti, seppur meno sofisticati dal punto di vista morfologico. Queste ambientazioni sono costellate di punti di interesse come scoperte archeologiche, passaggi accessibili utilizzando un’abilità e monoliti su cui sono incisi consigli per avanzare nell’avventura. L’interazione con gran parte di questi hotspot ricompensa il giocatore con punti che possono essere utilizzati per ampliare le possibilità offensive dei propri eroi in battaglia, al punto tale che i canonici livelli di esperienza finiscono per essere quasi ininfluenti. Questo anche considerando il nuovo modello di crescita dell’equipaggiamento che rifugge dai classici meccanismi dei J-RPG e che risulta fin troppo complicato nelle prime fasi, ma che una volta padroneggiato permette di ottimizzare al meglio le proprie risorse. Sempre se si riesce a farci amicizia, chiaro. Buone, invece, le quest secondarie, facilmente accessibili e tutte con collegamenti alla trama. Dire addio alle fetch quest di natura MMORPG non è mai stato così bello.

Il sistema di scontri in tempo reale rimane ancora una volta il fiore all’occhiello della produzione

Fortunatamente il sistema di scontri in tempo reale rimane ancora una volta il fiore all’occhiello della produzione. Il linear motion battle system di Tales of Graces F è stato rielaborato, portando le battaglie direttamente sulla mappa esplorata, senza alcuna transizione di sorta. Le differenti tecniche di combattimento sono collocate in un meccanismo che ricorda la morra cinese, in cui determinati colpi annullano l’efficacia di altri, e in cui il sommarsi dei fendenti portati a segno permette di moltiplicare il valore dei danni fino a risultati sbalorditivi. Se ogni azione sul campo costa preziosi punti CC, è altrettanto vero che i virtuosismi del giocatore, specie le schivate, sono ricompensati con possibilità d’azione supplementari. E in tutto questo fa capolino la fusione, una meccanica che permette ai serafini di fondersi con i protagonisti umani, sommando parametri e affinità elementali e permettendo di accedere a tecniche offensive avanzate. Un’aggiunta che potrebbe sembrare di primo acchito squilibrata, ma il cui utilizzo va ben pesato: non sempre fondersi con un compagno serafino è la risposta a ogni emergenza.
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Sotto il profilo estetico è giusto sottolineare come Tales of Zestiria rimanga un gioco PS3, evidentemente appartenente alla scorsa generazione di console. La versione PS4 è ovviamente migliore (e praticamente identica a quella PC con settaggi al massimo), con un effetto pop up minore, un aliasing praticamente assente e texture in alta risoluzione che celebrano i modelli dei personaggi in tutta la loro magnificenza, ma ben lontana dallo standard grafico attuale. Come sempre, quando si guarda all’industria nipponica, la maggior parte degli sforzi profusi dai grafici sono stati investiti nella caratterizzazione dei protagonisti e dei comprimari più importanti, precipitando di conseguenza il pantheon dei nemici e i png nel calderone degli assets riciclati dagli episodi precedenti. Zestiria è tecnicamente il migliore dei Tales of, ma certamente non il più bello da vedere. Questo a causa di un modello esplorativo che ha ormai abbandonato la telecamera fissa e che ha, di conseguenza, obbligato i designer a realizzare ambientazioni più vaste e complesse. È un peccato che Bandai Namco non abbia preso esempio da Monolith Soft e dal suo Xenoblade Chronicles. Chissà quanto sarebbe stato bello vedere le fantastiche sequenze animate da Ufotable prendere vita sullo sfondo di un mondo di gioco realizzato per bene, per una volta. Ottimo, invece, l’intero comparto sonoro, in cui la traccia giapponese è finalmente selezionabile e che permette, a chiunque lo volesse, di saggiare la qualità dell’interpretazione originale. Il duo Motoi Sakuraba/Go Shiina ha invece orchestrato un eccellente accompagnamento musicale, che al momento si erge fra i migliori della serie e che, onestamente, mi fa sperare che il primo lasci presto spazio al secondo al timone della serie. Non me ne voglia Sakuraba-san, oltretutto particolarmente in forma in questo episodio di Tales of, ma non c’è paragone fra il suo lavoro e quello del collega.

Tales of Zestiria è un compromesso fra innovazione e tradizione che soffre purtroppo di una qualità narrativa altalenante e un profilo tecnico non particolarmente memorabile. Le caratteristiche migliori della serie Tales of sono presenti anche a questo appello, laddove l’affiatato cast di protagonisti e il divertentissimo sistema di battaglia devono per forza di cose lasciare spazio ad aspetti meno riusciti, ma comunque non così determinanti dal rovinare la fruizione e il sano divertimento che il gioco riesce a restituire. Però, forse, per il ventennale della serie era lecito aspettarsi di meglio.

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Pro

  • Cast di protagonisti sfizioso.
  • Sistema di combattimento adrenalinico e tecnico quanto basta.
  • Ottima colonna sonora.
  • Finalmente la traccia audio giapponese!

Contro

  • Storia non all’altezza degli ultimi Tales of.
  • Tecnicamente povero.
  • L’ottimizzazione delle armi è inutilmente cavillosa.
7

Buono

C'è chi dice che nella sua stanzetta, dietro una mole spaventosa di fumetti d'epoca giapponesi, si celino misteri infiniti. Da sempre appassionato di videogame made in Japan e delle opere animate di Kunihiko Ikuhara, dategli un qualsiasi J-RPG e lo renderete un orsetto felice.

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