Thronebreaker: The Witcher Tales - Recensione

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Nato come spin-off single player di un minigioco di The Witcher 3, CD Projekt RED avrebbe potuto considerare Thronebreaker: The Witcher Tales un progetto minore nel quale non infondere troppe energie, ma non è questa la mentalità degli sviluppatori polacchi. Non a caso, quindi, la scelta di game director del titolo è caduta su Mateusz Tomaszkiewicz, già lead quest designer in The Witcher 3, a sottolineare la volontà di garantire continuità con il tono e la profondità delle situazioni rispetto alla saga principale. Oltre alla narrazione, anche gli aspetti di gameplay di Gwent sono stati oggetto di forti revisioni dai risultati notevoli. Vediamoli insieme.

HOUSE OF CARDS

Per chi non lo sapesse, il gioco di carte Gwent vede la luce nei romanzi di Andrzej Sapkowski e da lì si fa strada verso The Witcher 3 in versione semplificata, per poi diventare, grazie all’apprezzamento dei fan, una creatura a sé stante la cui open beta partì nel maggio scorso. Si tratta di un’esperienza multiplayer competitiva, ma gli sviluppatori polacchi hanno voluto creare una componente single player che, in una perfetta chiusura del cerchio, è diventata una creatura tale da meritarsi una vita propria. Ecco così che abbiamo davanti a noi Thronebreaker: The Witcher Tales, grazie al quale viviamo le traverse vicende della regina Meve nel tumultuoso ambiente dei Regni Settentrionali.

Thronebreaker utilizza il nuovo ruleset “Homecoming”, che porta diversi cambiamenti sostanziali

Le regole di base di Gwent sono molto semplici: si gioca una carta per turno e vince chi ha unità la cui somma della potenza è più alta. Niente mana o costo di lancio, ma non per questo si tratta di un gioco banale: innanzitutto quasi tutte le carte hanno abilità dalle forti sinergie da sfruttare in combo con altre, ma soprattutto l’elemento caratterizzante è la possibilità di passare la mano e lasciare modo all’avversario di continuare a giocare. Siccome bisogna vincere due round su tre, questa mossa serve sia per abbandonare un turno destinato alla sconfitta, sia per far utilizzare preziose carte all’avversario, che tenterà così di superare la nostra potenza quando saremo noi in vantaggio. Il risultato è una situazione di costante tensione nella quale indovinare i bluff altrui è tanto arduo quanto glorioso. Thronebreaker utilizza poi il nuovo ruleset “Homecoming”, che porta diversi cambiamenti sostanziali: le file su cui disporre le unità sono ridotte da tre a due, e nuove abilità definite “Ordini” posso essere impiegate liberamente dal turno successivo alla discesa in campo della carta. Tali novità accentuano l’importanza di pianificare una tattica precisa in fase di costruzione del mazzo: come ogni giocatore di Magic sa bene, un paio di non-comuni ben piazzate possono fare molto più male di una marea di rare prese a caso.

Si nota la mancanza di qualche slot aggiuntivo per alternare velocemente mazzi che sfruttano tattiche diverse tra loro

La maggior parte degli scontri si disputa su un solo round: pur eliminando la gestione del bluff (che comunque dà il meglio solo contro avversari umani), questa scelta di design è molto azzeccata in quanto riduce il tempo complessivo di ogni battaglia e mantiene alto il ritmo della campagna. Inoltre, in numerosi casi ci troviamo di fronte a obiettivi speciali o addirittura a regole ad hoc che stravolgono l’andamento tradizionale della partita, donandoci gradite sorprese che stupiscono per la fantasia dimostrata dagli sviluppatori. Nel corso della campagna affrontiamo tutte le fazioni disponibili al momento, ma guidiamo solo quella della regina Meve, il che riduce la varietà di meccaniche da padroneggiare. Nel complesso, il numero di carte che vengono sbloccate man mano si attesta su valori elevati, creando parecchie variazioni che vi faranno passare molto tempo nell’editor del mazzo alla ricerca di nuove idee letali. In queste occasioni si nota la mancanza di qualche slot aggiuntivo per alternare velocemente mazzi che sfruttano tattiche diverse tra loro, anche perché dal canto suo l’IA si dimostra abile nello sfruttare i punti di forza dei diversi schieramenti. Il livello di sfida darà del filo da torcere anche ai giocatori esperti di Gwent: molte carte hanno subito cambiamenti e, per quanto possiate ideare tattiche solide, non esiste la combo perfetta da utilizzare in qualsiasi situazione, vista la varietà degli schieramenti avversari e le strategie che impiegano. Di conseguenza, le vittorie su certi nemici danno particolare soddisfazione, e se proprio doveste rimanere bloccati, è possibile in qualsiasi momento impostare il livello di difficoltà su “Avventuriero”, che attiva l’opzione di saltare gli scontri.

IL MONDO DELLO STRIGO

Se il gioco di Gwent è il meccanismo con cui si risolvono i conflitti, le fondamenta su cui è costruito Thronebraker: The Witcher Tales sono l’universo narrativo e lo storytelling; come già noto ai fan di Geralt di Rivia, da queste parti non bisogna mai dare per scontato che i mostri siano i carnefici, e anzi gli uomini si dimostrano alle volte ben più brutali e spietati. Gli ambienti da esplorare sulla mappa in visuale isometrica ricca di componenti finemente animati pullulano di quest secondarie che supplicano di essere giocate, e non vi pentirete di averle accontentate. Le location da analizzare sono tutte piuttosto vicine, quindi in ogni momento avrete almeno un paio di missioni opzionali a pochi passi di distanza. È come se CD Projekt RED fosse lì a stuzzicarci mostrandoci che c’è sempre qualcosa di interessante da scoprire a due passi, il che porta poi a perdersi con piacere nella perlustrazione di ogni angolo della mappa.

Da queste parti non bisogna mai dare per scontato che i mostri siano i carnefici

La narrazione avviene attraverso testi scritti con eleganza e recitati con maestria (tutto in italiano!) che ci calano sempre di più nel mondo di gioco. L’immersione è forse meno immediata rispetto alla trilogia di The Witcher per via della natura stessa del gameplay, ma con il passare delle ore mi sono comunque ritrovato del tutto partecipe alle fatiche di Meve, come quando ci si ritrova incollati a un libro fantasy senza rendersi conto di aver ormai fatto da tempo le ore piccole. La nostra protagonista è un sovrano fiero come se ne sono visti pochi, e i comprimari che la circondano fanno risplendere, seppure di luce riflessa, le loro personalità in diversi dialoghi che però non hanno conseguenze sulle relazioni tra personaggi e su eventuali meccanismi di gameplay: solo poche decisioni chiave porteranno alcuni eroi ad accompagnarci o abbandonare la nostra cerchia. Seguire una regina e la sua corte è un bel cambio di registro rispetto al punto di vista “individuale” cui ci ha abituato la trilogia principale, e in quanto tale ci pone di fronte a scelte di diverso tipo, per quanto anche qui si tratti spesso di scegliere il male minore. Ecco perché ho particolarmente apprezzato quelle quest più giocoso e ironiche che qua e là costellano la mappa di gioco e tendono a sdrammatizzare il tono generale.

CD Projekt Red avrebbe potuto approfittare della notorietà del marchio di The Witcher, e ormai anche di Gwent, per sfornare con il minimo sforzo una campagna single player del proprio CCG (Collectible Card Game), ma un’operazione del genere non è proprio nel loro DNA. Thronebreaker: The Witcher Tales porta questo genere a un nuovo livello di profondità grazie alla combinazione di una scrittura ai massimi livelli e un gameplay abilmente declinato in numerose varianti che tiene avvinti fino alla fine. Gli unici nei che ho trovato non riguardano aspetti di gioco realizzati male, ma solo aree che avrebbero potuto essere approfondite di più. Spero proprio che ce ne sia occasione in future “Witcher Tales”.

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Pro

  • Gli obiettivi e le regole degli scontri cambiano di continuo.
  • Quest mai banali.
  • Tanti contenuti opzionali che offrono grande varietà.

Contro

  • Gestione della squadra di eroi poco approfondita.
9.2

Ottimo

Dopo traverse vicende in alcune cittá italiche, il nostro Solar Nico é sbarcato in terra d’Albione. Se da una parte ancora si da alla ricerca matta e disperata di un parco (ma anche un praticello va benissimo) per approfittare di qualsiasi mezza giornata di sole londinese, dall’altra Nicoló ha rassegnato ogni speranza all’idea di stare al passo della propria, sempre crescente, libreria Steam.

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