Transference: Enter the Home of a Mind - Recensione

PC PS4 Xbox One

Ubisoft alle volte sperimenta. Lo fece con Just Dance, che glorificò il genere dei rhythm game, fino ad allora mai appannaggio del grande pubblico; lo fece anche in settori più mainstream come gli open world, dove nuove IP come Assassin’s Creed aprirono la strada a infiniti emuli più o meno riusciti. Ora il publisher francese sperimenta in quella che a oggi è la nicchia per eccezione: la realtà virtuale. Anche se è giocabile anche in forma tradizionale sia su PC che console, è proprio con il caschetto in testa che Transference assume la sua vera ragion d’essere.

A METÀ TRA DUE MONDI

È importante mettere subito in evidenza che in questa occasione Ubisoft ha collaborato con SpectreVision, studio cinematografico specializzato in horror messo in piedi da Elijah Wood nel 2010, qui alla prima esperienza con un videogioco. Tale cooperazione si presenta fin dai primi momenti di Transference tramite filmati recitati in live action di buona fattura che ci aiutano a calarci nell’atmosfera un po’ allucinante che fa da sfondo all’avventura. Non è presente il doppiaggio in italiano, ma ci sono comunque i sottotitoli nella nostra lingua.
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Certi enigmi richiedono pensiero laterale, e ho apprezzato l’assenza di un sistema di aiuti invasivo

Senza fare spoiler, ci troviamo a esplorare le memorie di uno scienziato che ha trovato il modo di trasferire il contenuto cerebrale in uno spazio digitale del tutto vivibile, e ha quindi deciso di traslocarvi le proprie memorie assieme a quelle della moglie e del figlio, sperando di riportare la famiglia sulla strada di una felicità ormai perduta nella vita reale. Se vogliamo inquadrare Transference secondo i canoni videoludici, si tratta di un puzzle game dalla forte componente narrativa di stampo thriller. I due elementi si integrano e intrecciano fin nel profondo, con enigmi che hanno senso di esistere all’interno della trama e una narrazione che aiuta a risolvere gli enigmi. Al progredire vengono sbloccati filmati in-game che chiariscono alcuni aspetti della vicenda, pur senza essere troppo espliciti; sta poi a noi mettere insieme i pezzi del mosaico ispezionando i numerosi oggetti che si trovano dentro casa e che permettono di farsi un’idea più chiara della complessa situazione in cui ci troviamo.
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La brevità è forse frutto della natura in parte cinematografica di questo progetto, che segue tempi narrativi tipici di un mediometraggio

La densità dei puzzle è notevole, nel senso che dobbiamo risolverne uno dietro l’altro senza soluzione di continuità. La loro chiave di lettura di solito non è scontata e potrebbe portare a delle situazioni di impasse; tuttavia, proprio in queste occasioni ho apprezzato l’assenza di un sistema di aiuti troppo invasivo, sostituito invece da alcuni suggerimenti ambientali da identificare osservando o ascoltando i dintorni con attenzione. Se la qualità non è quindi un problema, va però detto con chiarezza che Transference è estremamente corto. Non sono un fermo sostenitore del concetto per cui la quantità di contenuti di un videogioco sia un pilastro portante per la sua valutazione, ma in questo caso siamo fuori dai parametri base del medium: si arriva ai titoli di coda in poco più di un’ora, con motivi di ricominciare da capo pressoché inesistenti. Di per sé non ci sarebbe nulla di male, ma di solito il prezzo del biglietto per esperienze così brevi è più basso, e inoltre nulla della presentazione negli store digitali lascia trasparire tale anomalia. La brevità è forse frutto della natura in parte cinematografica di questo progetto, che segue tempi narrativi più tipici di un mediometraggio e si scontra quindi con le dinamiche videoludiche. Lo stesso si può dire per le ambientazioni, che si limitano a pochi “livelli” in cui ci troviamo a risolvere enigmi di volta in volta diversi, sia perché cambiano con l’evolversi della vicenda, sia perché li viviamo dai diversi punti di vista dei tre personaggi. Proprio la presentazione e l’interpretazione delle differenti prospettive che scopriamo man mano ci pone di fronte al vero dramma di questa famiglia, che apparentemente senza un motivo preciso è arrivata alla dissoluzione, e solo sull’orlo del baratro cerca un recupero quasi impossibile.

PAURA E… PAURA

Come thriller, Transference punta tutto sul creare una tensione che attanaglia fin dai primi minuti e non molla fino alla fine. Ci riesce bene, forse fin troppo, visto che la realtà virtuale amplifica questa sensazione e potrebbe risultare opprimente se ogni tanto non ci si ferma per allentare i nervi. Mancano scene più rilassate che facciano da interludio ai momenti più concitati, e che avrebbero contribuito a una maggiore varietà di emozioni trasmesse al fine di calare ancora di più il giocatore nella vita di questa famiglia deragliata dai binari della normalità.
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La natura multipiattaforma di Transference lo porta a non sfruttare la realtà virtuale nella sua pienezza

Lo stile grafico gioca con intelligenza sulle tonalità di colore, che modificano la percezione delle stanze dello stabile dove si svolge la storia a seconda del personaggio impersonato in quel momento. Per il resto il motore grafico non fa gridare al miracolo, ma rimane sulla media delle esperienze in realtà virtuale. Magistrale l’utilizzo del comparto audio: mi ha tenuto in apprensione con la pelle d’oca per la maggior parte dell’esperienza, grazie non solo a sonorità topiche come lo stridio di violini, ma anche ad effetti semplici ma efficaci quali lo sbattere delle porte. Certo, di tanto in tanto gli sviluppatori sono ricorsi a jump scare (comunque più che efficaci, intendiamoci), ma in generale è l’atmosfera a risultare autenticamente inquietante. Peccato che la natura multipiattaforma di Transference lo porti a non sfruttare la realtà virtuale nella sua pienezza: per quanto sia possibile maneggiare qualsiasi oggetto con i controller di Oculus Rift e HTC Vive (ma su PS VR i Move non sono abilitati), questo non viene sfruttato a livello di gameplay, come neanche la possibilità di sporgersi con la testa per sbirciare oltre angoli ed ostacoli, anche perché ciò avrebbe creato dei problemi per chi non gioca in VR.

Transference è un esperimento di estremo interesse che combina con successo narrativa cinematografica e puzzle game, dove ciascuna componente gode della giusta rilevanza senza perdersi a causa dell’altro. La storia offre punti di riflessione non scontati e il comparto grafico-sonoro mi ha tenuto in un costante stato di tachicardia, il che, per un verso, trovo sia un difetto, in quanto è il risultato di un’assenza di alternanza di emozioni trasmesse. Apprezzabili la varietà e il design generale degli enigmi, che richiedono un minimo di pensiero laterale rispetto le solite soluzioni di tipo logico-spaziali. Il tutto va però inquadrato all’interno di un’esperienza molto breve che può giustamente lasciare l’amaro in bocca a molti utenti.

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Pro

  • Gli aspetti filmici e ludici si sostengono a vicenda.
  • Audio da brividi (letteralmente).
  • Enigmi vari e ben congegnati.

Contro

  • Decisamente più corto di quanto sarebbe lecito aspettarsi.
  • Emotivamente monocorde.
8.1

Più che buono

Dopo traverse vicende in alcune cittá italiche, il nostro Solar Nico é sbarcato in terra d’Albione. Se da una parte ancora si da alla ricerca matta e disperata di un parco (ma anche un praticello va benissimo) per approfittare di qualsiasi mezza giornata di sole londinese, dall’altra Nicoló ha rassegnato ogni speranza all’idea di stare al passo della propria, sempre crescente, libreria Steam.

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