Wanderstop – Recensione

PC PS5 Xbox Series X

Cercare di raccontare Wanderstop senza farla diventare la parabola di Davey Wreden (la mente dietro The Stanley Parable e The Beginner’s Guide) è una sfida. Sarebbe molto facile cavarsela così e aggiungendo due note a margine di gameplay, ma il senso del gioco non sta in Wreden. Sta in te che stai dall’altra parte dello schermo.

Sviluppatore / Publisher: Ivy Road / Annapurna Interactive Prezzo: €22,99 Localizzazione: Assente Multiplayer: No PEGI: 12 Disponibile su: PC (Steam), PlayStation 5, Xbox Series X|S Data d’uscita: 11 marzo 2025

Un elefante non è solo la sua proboscide. Allo stesso modo la storia di Alta non è solo una storia di burnout, un racconto sulla necessità di non farsi soffocare dallo stress, dai risultati, dalle aspettative che proiettiamo su noi stessi. È sicuramente una parte di Wanderstop, ma il punto con Alta è che lei è intrappolata nel suo stesso personaggio.

Alta è una guerriera. Si percepisce come tale, la spada è la pietra angolare su cui ha costruito tutta la sua personalità. Non riesce ad immaginarsi come altro, non riesce a perdonare la debolezza nemmeno quando le è chiaro che è l’evidenza stessa dei fatti a suggerirle che dovrebbe farlo. Quindi sì, Alta ha bisogno di fare i conti col suo fallimento e mettere un po’ di distanza con quella carriera di spadaccina che le ha presentato il conto. Ma più di tutto ha bisogno di scappare dal suo personaggio. O forse è quello che ho voluto leggere io nelle foglie di tè di Wanderstop, perché è quello di cui avrei bisogno io.

TEA MA SENZA BAG

Wanderstop NON è The Stanley Parable. Non è nemmeno Gone Home. È Wanderstop, punto.

La prima cosa da fare per riuscire a giocare Wanderstop è cancellare ogni aspettativa. Non stai comprando il sequel di The Stanley Parable – quello si chiama Ultra Deluxe, l’hai già avuto e non ti serve altro. Non stai comprando un esperimento meta-videoludico che usa il videogioco per riflettere sui videogiochi, non è il delirio di un genio e nemmeno quello di un pazzo. Wanderstop è un gioco in cui devi preparare del tè. Basta. Non c’è altro. Non diventerà qualcos’altro a metà dell’esperienza, non ti chiederà di cancellare il tuo salvataggio alla fine del gioco nella speranza di salvare il genere umano e se c’è qualcosa di meta, beh, è solo la componente autobiografica di una persona che nel 2013 ha cambiato per sempre i videogiochi. Ma è un fardello che a turno abbiamo portato tutti. Quel genitore che si aspettava sempre di più ad ogni compito in classe. Quell’assoluto stato di grazia in cui sei riuscito a parryare una combo di 15 colpi mentre avevi un solo PS, solo per arrivare ad una finale che poi hai perso. Quella volta, tutte quelle volte, che la Nera Signora ti ha raggiunto infine a Samarra.

Ah sì, poi Wanderstop ha questi personaggi assurdi tipo un padre uscito fuori da Dark Souls (?)

Sembra una perdita di tempo. Ma cosa sono i videogiochi, se non tempo perso che per noi ha un valore incalcolabile?


Wanderstop è un gioco al 100% cozy. I clienti arrivano e chiedono del tè, e si procede al prossimo capitolo solo una volta che sono stati serviti tutti. Però non c’è nessun timer che fa scadere l’obiettivo, nessun modo di fallire quelle che de facto poi sono le quest del gioco. Nei panni di Alta puoi tranquillamente prenderti del tempo per te e farne quello che vuoi. Se prepari del tè per te stessa c’è qualche reward narrativa che varia a seconda del tipo di bevanda che stai sorseggiando – e in questo caso puoi anche fare a meno delle foglie di té, praticamente l’unico elemento in-game che ha bisogno del suo tempo per essere pronto. Ma puoi anche farne a meno e dedicarti alla pulizia, all’arredamento del negozio, al dolce far niente. Se rimani bloccato c’è un libro nella libreria che ti dice cosa fare per andare avanti, se ti dimentichi qualcosa ce n’è un altro con tutti i tutorial e le nozioni che ti servono. Potenzialmente puoi non giocare a Wanderstop per un mese e reimparare tutto quello che ti serve in una manciata di minuti. O puoi servire i clienti il prima possibile sapendo – sperando – che ogni tazza di tè che consegni a loro ti avvicina al momento in cui riuscirai di nuovo a sollevare la tua spada. A tornare quello che eri, se nonostante tutto è davvero la cosa che ti definisce come essere umano.

WANDERSTOP: È OPERA DI UN MAGO

Tra un capitolo e l’altro il negozio si resetta. Spariscono tutte le piante che stavi coltivando e tutti gli automatismi che t’eri creato per essere più efficiente nel servizio, tutte le strane geometrie che avevi inventato per minimizzare il numero di piante che ti servivano per raccogliere gli ingredienti che ti servivano. Puoi protestare o puoi rassegnarti al fatto che in Wanderstop funziona così, certe cose hanno una loro illogica coerenza e tutto quello che puoi fare è decidere come si sente Alta scegliendo tra le opzioni di dialogo predefinite dagli sviluppatori – perché Wreden sarà pure il director del gioco, ma Ivy Road e anche Karla Zimonja e Daniel “C418” Rosenfeld, è Gone Home e la musica di Minecraft e le persone che c’erano dietro.

Già, l’annaffiatoio va effettivamente riempito con dell’acqua.

Molto di quello che succede a schermo si appella senza nemmeno nasconderlo troppo alla sospensione dell’incredulità, chiedendoci di accettare regole che non sono sondabili. Nella foresta il tempo scorre in modo diverso. Puoi andarci, se vuoi, puoi provare a scappare lasciandoti dietro quella spada che non riesci a sollevare più, ma dopo qualche metro finirai di nuovo sulla panchina da cui ti alzi ogni volta che carichi il salvataggio. Lo stesso mood fa capolino dietro le linee di dialogo dei vari personaggi: altre opzioni di dialogo che servono più che altro a farti decidere quale maschera stai facendo indossare ad Alta, più che avere conseguenze tangibili sull’esperienza di gioco. Non è nulla di mai tentato, e anzi in un contesto così vicino al teatro dell’assurdo è decisamente più digeribile che in quei videogiochi che puntano sulla magniloquenza delle scelte multiple salvo poi tradire la loro natura di profezie scritte per auto-avverarsi.

Il problema di Wanderstop, forse, è che nei requisiti minimi per apprezzarlo c’è l’essere stressati. E in quelli consigliati l’essere disposti ad ammetterlo.

In una società che ha normalizzato la prima cosa e trova inammissibile la seconda Wanderstop è un salto nel vuoto. Qualcosa facilmente fraintendibile, una tela su cui è facile proiettare aspettative dimenticandosi che il pallone è di Ivy Road e ci può fare quello che vuole. E forse sarebbe anche il caso di lasciarglielo fare, perché un videogioco non deve essere necessariamente solo un gioco, può essere anche l’inizio di una terapia, il  canarino che ti fa capire che è il caso di abbandonare la miniera. Oppure semplicemente quell’oretta chill prima di andare a letto senza punteggi, grinding e quelle altre cose che hanno trasformato il videogiocare in un secondo lavoro.

In Breve: Wanderstop è il videogioco nella sua quintessenza: una perdita di tempo, ma con significati più profondi e soprattutto necessaria per riuscire a decomprimere. Senza il gioco, le nostre vite sarebbero più tristi. Senza Wanderstop, magari non ti prenderesti un po’ di tempo per te.

Piattaforma di prova: PC
Configurazione di prova: AMD Ryzen 7 5800X, 80 GB di RAM, GeForce RTX 4070, SS
Com’è, come gira: Wanderstop gira bene, quindi non si può rispondere “cozy cozy” alla domanda “come gira”. Meglio così, perché bug e problemi tecnici vari avrebbero proprio guastato il mood.

Condividi con gli amici










Inviare

Pro

  • Super rilassante / Chi ha scritto i dialoghi non sta bene (in senso buono)

Contro

  • Deluderà le tue aspettative se cerchi un altro The Stanley Parable. O un gioco che sia un secondo lavoro
8

Più che buono

Laureato con disonore in Informatica, gioca da quando all’età di tre anni circa ha doavuto imparare a scrivere "win" sulla tastiera del PC per far partire l’interfaccia a finestre.

Password dimenticata